08 Aprile 2024
Il ricordo di Franco Lucentini è legato soprattutto ai libri di successo che ha scritto in coppia con Carlo Fruttero. Ma guardando oltre ai bestseller, si scopre un’opera personalissima, popolata di personaggi sbandati e con la profondità della grande letteratura. Ignorata dalla critica, merita oggi di essere riscoperta.
Franco Lucentini (1920-2002) ha scritto in coppia con Carlo Fruttero alcuni bestseller degli anni del boom, La donna della domenica (da cui un felice film di Luigi Comencini), A che punto è la notte, Il Palio delle contrade morte, L’amante senza fissa dimora… Bouvard e Pécuchet sono nell’ombra alle loro spalle, con il grande Flaubert.
A Fruttero e Lucentini dobbiamo del resto un quadro allegramente spietato dei nostri luoghi comuni, La prevalenza del cretino (Mondadori, 1985), che meriterebbe ampia circolazione anche oggi. Entrambi hanno inoltre allestito una bellissima antologia di racconti americani di guerra, Storie americane di guerra (Einaudi, 1964).
Mentre al solo Fruttero, stavolta insieme a Sergio Solmi che ne firmò l’introduzione, dobbiamo la curatela di una formidabile antologia di racconti di fantascienza, Le meraviglie del possibile (Einaudi, 1959), un testo che ebbe il merito di “sdoganare” questo fondamentale genere letterario del Novecento.
Lucentini ha poi scritto da solo tre gioielli della nostra narrativa: il racconto lungo La porta del ‘47 ma uscito solo nel ‘53 nel primo numero di una rivista gloriosa, la «Nuovi argomenti» di Carocci e Moravia; il breve romanzo I compagni sconosciuti, del 1951, primo numero della collana dei “Gettoni” voluta e diretta per Einaudi da Elio Vittorini; e un altro piccolo romanzo, Notizie dagli scavi (prima edizione Feltrinelli 1964; ripreso con gli altri due racconti in un volume mondadoriano del 1973 curato amorevolmente da Fruttero, che vi accluse un ritratto di Lucentini, cioè Dell’artista come anima bella).
Mi ha sempre stupito (e un po’ irritato) il silenzio dei nostri critici più influenti e degli accademici delle patrie lettere su quest’opera singolare, tre testi abbastanza diversi tra loro ma legati da una tensione insieme morale e sperimentale.
Peraltro, Fruttero e Lucentini sono tra gli scrittori più simpatici che io abbia avuto la fortuna di conoscere, spesso insieme a un terzo compare, Lodovico Terzi, che ha tradotto meravigliosamente Swift e Dickens per Adelphi e che ha scritto una bellissima memoria del tempo dell’occupazione tedesca, Due anni senza gloria. 1943-1945 (Einaudi), di cui stesi la prefazione per un forte sentimento di amicizia ma con l’imbarazzo di chi sapeva bene di non essere all’altezza. Memorabile tra tutte è la versione di Terzi del Circolo Pickwick, del 1971, di cui ho sentito recitare brani a memoria da Fruttero e Lucentini.
“Mi ha sempre stupito (e un po’ irritato) il silenzio dei nostri critici più influenti e degli accademici delle patrie lettere su quest’opera singolare”.
Fu l’ironia il pregio maggiore dei tre compari ma forse anche un po’ un loro limite, perché certamente avrebbero potuto e saputo fare molto più di quel che ci hanno dato. Ma ce n’è tuttavia abbastanza da poterci accontentare e, ovviamente, non ho nulla contro chi ha scritto bestseller, perché nella letteratura più popolare si possono incontrare esempi di letteratura formidabili. Lucentini, più di Fruttero – che ne era cosciente –, aveva la profondità del narratore, del grande letterato.
Brevemente, e a memoria. La porta raccontava, con la storia di una prostituta, anche di uno scantinato romano popolato da personaggi marginali, di varia origine e vario umore, riuniti attorno alla affettuosa figura di un prete. (Anche Terzi ha scritto un gran bel racconto che seguiva un gruppo di sbandati in fuga in tempo di guerra e, prima di lui, su esperienze simili e con personaggi di diverso carattere, classe, esperienza, riuniti in un viaggio avventuroso, lo aveva fatto Pratolini).
Molte erano le displaced person del dopoguerra – così mi pare le si chiamasse – riunite dal caso o dalle leggi, che Lucentini ha evidentemente incontrato tra guerra e dopoguerra.
Prima ancora del suo racconto, ve ne sono stati altri, anche di genere, che hanno affrontato situazioni vicine: la storia di un gruppo di persone unite dal caso, di fronte a un pericolo o prigioniere di una condizione di miseria e solitudine – e sarebbe bello se qualcuno li schedasse e ricordasse.
Basti per tutti il ricordo di Boule de suif di Maupassant (in italiano intitolato Palla di sego, edito da Bur), e del film che ne adattò a suo modo John Ford con Ombre rosse, e più di recente di un bel racconto di Stig Dagerman, Inverno a Belleville (contenuto in Il viaggiatore, edito da Iperborea) e di un romanzo di Steinbeck non dei più noti, La corriera stravagante (Bompiani)… Ma vengono alla mente anche situazioni meno “realistiche”, per esempio quelle narrate in certi romanzi ferroviari di Graham Greene, i più seri, o di Agatha Christie, i più bizzarri (a partire da un delitto su un treno o su una nave, dove si fatica a scoprire chi lo ha compiuto)… Eccetera.
Questa suggestione è presente in La porta (1947), ma è secondaria al ritratto di una giovane prostituta, e alla volontà lucentiniana di esplorare piuttosto un sotto-mondo che non, in una chiave esemplare, un mondo socialmente più vasto. (Una situazione per qualche aspetto simile, meno drammatica e in tempo di pace, è quella degli incontri tra persone di diversa origine ed esperienza. Situazione che mi è capitato di conoscere nella Roma dei tardi anni Cinquanta, frequentando il piccolo appartamento sotto i tetti dalle parti del Pantheon di un’amica, una giornalista svedese che si chiamava Nora, come l’eroina di Ibsen. A sere fisse, ma più volte nella settimana, vi si raccoglievano stranieri arenati a Roma chissà da dove e chissà come ai quali Nora offriva vino, biscotti e compagnia. Si poteva andare da Nora sempre, quando Nora era in casa, e lo si sapeva guardando su alla finestra dell’ultimo piano, in cui era appeso o meno uno straccio: “straccio fuori, Nora fuori; straccio dentro, Nora dentro”…).
Anche I compagni sconosciuti (1951) mette a contatto figure di sbandati, alcuni dei quali in attesa di essere rimpatriati nella Vienna dell’immediato dopoguerra (un’esperienza diretta di Lucentini poco più che ventenne), con abilità linguistica – Lucentini sapeva tante lingue e le traduceva con invidiabile capacità. Ne I compagni sconosciuti, Lucentini accosta con successo personaggi diversi, gli sbandati di un’epoca, con una vera predilezione per i personaggi femminili.
Di quel racconto resta l’impressione di una vivacità e vitalità insolite ed è significativo che “i compagni sconosciuti” tra i quali trova amicizia un Lucentini appena uscito da un campo di prigionia e prima di poter tornare in Italia, siano piuttosto donne (e mi torna alla mente anche lo straordinario rapporto di coppia di Lucentini con una donna molto più anziana di lui: l’amore di una vita).
La stessa tensione, sperimentale sul fronte letterario e di esplorazione di una marginalità diffusa ed estranea a un mondo di colti, è al centro di Notizie dagli scavi.
“Fu l’ironia il pregio maggiore dei tre compari ma forse anche un po’ un loro limite, perché certamente avrebbero potuto e saputo fare molto più di quel che ci hanno dato”.
Qui a raccontare è “il professore”, un essere primitivo e rozzo chiamato ironicamente così dalle ragazze di una “casa chiusa” in cui fa l’inserviente, come a insistere sulla sua ignoranza e ingenuità sottoproletarie. Egli accompagna in ospedale una delle ragazze, attacca facilmente bottone, è curioso di scoprire una Roma di ruderi e cimeli, e sono le sue parole e i suoi pensieri, le sue osservazioni e la sua filosofia che Lucentini mima genialmente. (E sarebbe interessante mettere a confronto la sua lingua e il suo atteggiamento con quelli delle storie romane di Pasolini…).
Non si tratta però di un’operazione di abile mimetismo, bensì di una riflessione sul senso dell’esistere che ci viene offerta tramite “il professore” – oltre il disordine e la casualità degli eventi, è la ricerca di un senso che i suoi personaggi affrontano, assolutamente impreparati culturalmente ma nondimeno mossi da un’inquietudine che è infine di tutti. “Il professore” affronta questo disordine e vi cerca un senso che non riesce a trovare, con un linguaggio insieme comico e commovente.
Goffredo Fofi
Goffredo Fofi è saggista, critico cinematografico e letterario. Il suo ultimo libro è Cari agli dèi (Edizioni E/O, 2022).
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