Dalla borgata per la borgata: la storia di Quarticciolo - Lucy
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Francesco Esposito e Matilda Ferraris

Dalla borgata per la borgata: la storia di Quarticciolo

In un quartiere ai margini di Roma un gruppo di persone ha dato vita a un doposcuola, un ambulatorio e una palestra popolari: progetti pensati per costruire una comunità autonoma e solidale in una periferia in cui le istituzioni non sono mai sembrate in grado di intervenire.

C’è un grande palazzo, alto e liscio, costruito negli anni ‘40, razionalista. È l’ex Questura del Quarticciolo, borgata della periferia est di Roma, ampia meno di mezzo chilometro quadrato e incastrata ad angolo tra via Prenestina e viale Palmiro Togliatti.  Il progetto Roberto Nicolini padre di Renato inventore dell’Estate romana, doveva accogliere al piano terra la casa del fascio e alloggi popolari in quelli superiori. Oggi è occupato dal 1999, ospita 40 famiglie e un doposcuola gratuito, animato dal collettivo Quarticciolo ribelle.

Un’esperienza che potrebbe concludersi: il quartiere è una delle otto “periferie” italiane in cui il governo vorrebbe contrastare la criminalità applicando il cosiddetto “modello Caivano”: commissariamento dell’amministrazione, più presenza delle forze dell’ordine, finanziamenti per progetti sociali, tanti sgomberi.

“Abbiamo aiutato tutti in questo quartiere, e quante volte avete detto: ‘ma che bravi, quanto siete bravi’. Ora siamo noi ad aver bisogno del vostro aiuto”. Fabrizio, della Palestra Popolare si rivolge così agli abitanti della sua borgata nell’assemblea della sera del 18 gennaio che ha attirato migliaia di persone anche da altre zone di Roma. “C’è un’epidemia di crack che fa spavento, non possiamo negarlo”, continua Fabrizio, stretto nel suo giaccone, “ma la soluzione non può essere lo sgombero dell’ex questura”.

Che cosa è il Quarticciolo 

Ribelle il Quarticciolo lo è sin dal principio. Durante l’occupazione tedesca la sua struttura, che ricorda quella degli accampamenti dell’Antica Roma, con il reticolato che si sviluppa attorno a un cardo, via Manfredonia, e un decumano, via Ostuni, si trasforma in un incubo per la Wehrmacht e i collaborazionisti fascisti. Questi spesso preferiscono evitare l’ingresso in un quartiere periferico ma cruciale per la lotta partigiana in città. Tra queste strade si distingue, su tutti, Giuseppe Albano, che, a causa di una cifosi, entrò nell’immaginario comune e negli incubi dei nazisti come il famigerato “Gobbo del Quarticciolo”.  

Nel dopoguerra, il comune promuove una serie di interventi per dotare la borgata di “tutti i necessari conforti e attrezzature”. Viene aperta una scuola elementare, la Casa del Fascio viene convertita in una caserma di polizia, vengono costruiti due cinema e inaugurato un tram che parte dalla stazione Termini e arriva in quartiere, la linea 14, tuttora attiva. La Democrazia Cristiana e Partito Socialista fondano una sezione nella piazza principale e nel 1960 viene inaugurato un mercato coperto. 

Negli anni ‘70 viene realizzata via Palmiro Togliatti l’arteria che collega il quartiere al resto della città. Nel 1984 viene prolungata a nord verso la Tiburtina e a sud verso la Tuscolana. L’obiettivo è collegare il quartiere alla città, anche se secondo i suoi abitanti le grandi vie realizzate lo costringono a un non voluto e sofferto isolamento. Lo racconta Leonida, uno di loro,  in “Periferie. Da problema a risorsa”:“ Vanno come pazzi … capito? Le macchine corrono! E noi qua dentro semo rimasti così! […] Chiusi! E il Quarticciolo muore! Lo chiamavano il giardino di Roma, ‘na vorta, er Quarticciolo”. 

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Lo slancio culturale promosso dal comune nel dopoguerra non ha avuto vita lunga. Negli anni, la borgata è rimasta isolata e abbandonata a sé stessa. Oggi registra il più alto tasso di dispersione scolastica della capitale ed è diventata una delle principali piazze di spaccio della città. Se un tempo le persone acquistavano qui per consumare altrove, ora rimangono, incidendo ancora di più sulla vita del quartiere.

I cinema sono stati chiusi, il mercato non c’è più. Le saracinesche sono quasi tutte abbassate e le attività commerciali poche: nessuno investe qui, le poche cose che funzionano le ha costruite la gente che ci abita tramite autofinanziamenti dal basso.

Gli inizi 

È partito tutto con una palestra. Cinque ragazzi, attivi nel collettivo universitario Degage, nel 2015 decidono di portare la lotta politica ai margini della città. Nessuno di loro è del Quarticciolo, ma lo scelgono perché lì c’è già un’occupazione abitativa e perché notano l’assenza di luoghi di socialità e crescita. Il loro progetto è fare politica tramite lo sport. 

Emanuele è uno dei cinque, anche se nessuno in quartiere lo chiama così, per tutti è “Manù”. È cresciuto a Labaro ma nel 2015 si è trasferito a Quarticciolo: “Con i compagni siamo venuti a vivere all’ex Questura, e abbiamo occupato l’ex locale Caldaie dell’Ater dove abbiamo fondato la prima sede della palestra popolare”.  

Per creare un rapporto con la gente della borgata hanno passato tanto tempo in strada: «Raccontavamo quello che volevamo fare, provando a coinvolgere e questo ha funzionato. Tante persone del quartiere hanno supportato il progetto: chi ci ha dato una mano fisicamente, chi regalando materiali, chi portando il pranzo o il caffè nel fine settimana».  

In quell’anno i ragazzi cominciano a costruire una comunità e capiscono che la loro intuizione è giusta: al quartiere mancava davvero un posto che potesse essere frequentato da tutti, e quando finalmente apre è un successo.  

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I prezzi sono popolari per permettere a chiunque di frequentare i corsi. Manù, che da ragazzino aveva fatto il pugile a Labaro, diventa un tecnico allenatore, ma il suo ruolo non si esaurisce qui: “Questo posto è diventato un’esperienza totalizzante. Il lavoro non finisce dopo la lezione di boxe. Negli anni mi sono ritrovato a fare i colloqui scolastici al posto dei genitori dei ragazzi che frequentavano i nostri corsi”. 

Nel 2018 il cambio della sede: si va nella casa del quartiere di via Ugento. La palestra prende il posto della vecchia bocciofila, un dono di Vittorio, il factotum del posto, in una sorta di economia circolare degli spazi: “Tanto non ci veniva più nessuno”. 

Nel cortile d’ingresso ci sono due tralicci dell’alta tensione sotto i quali sono seduti gli anziani del quartiere. Fumano, giocano a carte, bevono un crodino. Altri sono all’interno della stanza comune, dove c’è un piccolo angolo bar e una televisione accesa come  sottofondo. 

Il via vai comincia alle 18. Ragazzi e ragazze con borsone sulle spalle attraversano il cancello della casa del quartiere per entrare nell’ex bocciofila, ora palestra. Percorrono il corridoio cosparso da foto delle competizioni e dei campioni regionali cresciuti qui.

I corsi di pugilato si tengono ogni sera, dal lunedì al venerdì. Sono per tutti: bambini, amatori,  professionisti. È mercoledì sera e si stanno allenando gli adulti. Tra un quarto d’ora la lezione finirà. Manù è in piedi, accanto al ring. Chiacchiera con una collega e ogni tanto volge lo sguardo verso il tappeto dove la classe sta facendo gli ultimi esercizi in autonomia. “Cinque minuti”, esclama inorgoglito.   

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Seduti su una panca due bambini osservano l’allenamento. Sono Erik – “con la kappa mi raccomando” – e Martina, fratello e sorella. Lei è più grande e lo tiene in braccio, stanno aspettando i genitori: “Mamma è andata al corso di cucina, mentre papà sta finendo di allenarsi. Prima eravamo al teatro biblioteca, abbiamo fatto canto corale”. 

Ogni esperienza citata da Martina è parte della rete di Quarticciolo Ribelle, insieme all’ambulatorio popolare, al doposcuola, al birrificio e alla micro stamperia.  

“Ci siamo sempre interrogati su quali fossero le esigenze della borgata” racconta Manù fuori dalla palestra aspirando una sigaretta. “Dopo la palestra abbiamo avuto l’idea del doposcuola popolare, che è partito tra il 2018 e il 2019”.

Per tre giorni a settimana gli educatori lavorano individualmente con ragazze e ragazzi dai 3 ai 18 anni negli spazi dell’ex Questura, adornati da decine di disegni e da una scritta che accoglie i giovanissimi della borgata: “Insieme tutto è possibile”.

Fiamma, educatrice, mostra con orgoglio i tavoli, il materiale, la libreria, perché «tutto questo ce lo siamo creati da soli e non ce lo porteranno via». Lei in Piazza del Quarticciolo ci è cresciuta: “‘Degrado sociale’ non è un bel termine. Stigmatizza il quartiere. Ma Quarticciolo non è una terra di zombie, non si parla di quello che di virtuoso si è costruito in questi anni”.

Nato come un aiuto per i compiti a casa, col tempo è diventato molto di più: orientamento all’istruzione, attività all’aria aperta e anche gite. “Andiamo al mare! E a pattinare e a cantare”, dicono in coro tre bambine poco prima di entrare a studiare.

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Del doposcuola non ne beneficiano solo i ragazzi, ma anche i genitori per cui questo posto è un aiuto e uno stimolo. Grazie ai momenti assembleari si scoprono le loro esigenze: “È un posto fondamentale per persone che nelle difficoltà non sentono di rivolgersi alle istituzioni” continua Fiamma, “un po’ perché ne hanno paura, hanno paura dei servizi sociali, pensano che per la loro condizione economica e abitativa possano avere dei problemi. Con noi invece c’è una forte fiducia”. È nelle situazioni più difficili che una presenza di supporto per l’apprendimento diventa ancora più importante. “Abbiamo creato lo spazio 3-6 anni, per evitare che si sia ultimi già dall’inizio. Ed è da qui che devi partire per combattere la dispersione scolastica.”, racconta Marco, educatore, a proposito delle difficoltà dei più piccoli. “Non solo compiti. Cerchiamo di insegnargli a star bene in un modo sano”. 

“Abbiamo anche attivato una collaborazione con la biblioteca di quartiere, qua di fronte. Non sono abituati a sfogliare i libri, una volta una bambina mi ha detto: ‘ma io non ho nessun libro a casa’. Devono imparare ad familiarità con questo oggetto sconosciuto”.

La visione di comunità passa attraverso ognuna di queste esperienze, persino l’ambulatorio. Il progetto è nato nel 2020 durante il covid nei locali dell’ex Ater dove prima c’era la palestra. La pandemia è stata la spinta: in quel periodo serviva una struttura che offrisse supporto psicologico. Il progetto poi si è allargato ad altro. Il sabato è il giorno più affollato, quasi tutti gli sportelli sono in funzione e i pazienti attendono nella sala il loro turno. “Io dico sempre che questo posto non dovrebbe esistere”, racconta Francesco, medico psichiatra che è volontario all’ambulatorio. “Noi suppliamo a una mancanza del servizio sanitario nazionale. Facciamo tanto lavoro di prevenzione e informazione. Qui c’è gente che non si cura perché non ha la possibilità di arrivare nei grandi ospedali, o è in lista d’attesa da troppo tempo e non ha i soldi per ricorrere al privato”. Nell’ambulatorio c’è anche un medico di comunità, una specializzazione per cui le borse sono spesso vacanti. “È un modello alternativo a quello proposto dai grandi centri ospedalieri che vengono costruiti fuori dalle città”, un tipo di medicina il cui fulcro è la cura dei bisogni sanitari di base, e dove la prevenzione è l’elemento fondamentale. 

Palestra, ambulatorio o doposcuola, il grande obiettivo comune è costruire autosufficienza: “Sappiamo che non riusciremo ad aiutare tutti, ma continueremo a costruire progetti per offrire un’alternativa lavorativa, dalla borgata per la borgata”.  

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Francesco Esposito

Francesco Esposito è giornalista praticante. Ha studiato Scienze storiche e scritto di sport e società per «Ultimo Uomo».

Matilda Ferraris

Matilda Ferraris è giornalista praticante. Scrive di lotte sociali e migrazione principalmente su «Domani». Ha una newsletter  che si chiama “Lavorare stanca”.

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