Valentina Tanni
Lo gnomecore è un’estetica internet incentrata sulla figura dello gnomo. Nata un paio di anni fa da una nicchia di appassionati, oggi è ovunque, tra meme, video e leggende urbane. Cosa racconta di noi questo nuovo folklore digitale?
Da quasi tre decenni trascorro gran parte del mio tempo online, per necessità, per lavoro e per diletto. Ai fenomeni culturali della rete ho dedicato infinite ore di studio e di esplorazione; sui linguaggi e sulle tendenze che nascono su internet ho scritto libri e tenuto lezioni. Se c’è una cosa che ho imparato, in tutti questi anni, è che esiste una nicchia per qualsiasi cosa. Cercando a sufficienza, è possibile trovare appassionati di ogni materia immaginabile, dalla più popolare alla più improbabile. Come canta il comico e musicista statunitense Bo Burnham in Welcome to the internet: “anything that brain of yours can think of can be found” (‘tutto ciò che il tuo cervello riesce a pensare puoi trovarlo’). Ci sono forum che archiviano solo fotografie di moquette aeroportuali, comunità che condividono fan fiction su Kermit la Rana e persone che amano confidarsi gli strani pensieri che fanno sotto la doccia.
Non mi sarei dovuta sorprendere più tanto, dunque, quando, un paio di anni fa, ho assistito all’ascesa dello gnomecore, un’estetica incentrata sulla figura dello gnomo. Tuttavia, le continue apparizioni di piccoli personaggi barbuti con il cappello a punta in video, meme, reel e trend di TikTok, in mezzo a ricette, notizie e balletti, hanno esercitato su di me uno strano potere ipnotico.
Stando alla descrizione che si può trovare nel forum di Reddit dedicato, i temi dello gnomecore sono “Sono la natura, il giardinaggio, la raccolta di oggetti curiosi, i funghi, il foraging, il cucito, il lavoro a maglia, la panificazione, l’homesteading, l’inscatolamento, le rane, gli uccelli, le volpi, il ricamo, il focolare e la casa, le abitazioni in collina, un buon bastone, il muschio e il semplice fatto di essere amici della natura”. Ma lo gnomecore non è soltanto la celebrazione di un modello idilliaco di vita bucolica, tutto passeggiate in montagna, funghi e ricamo, come il più popolare cottagecore, emerso con prepotenza durante il primo lockdown. Comprende infatti anche molte interpretazioni più ambigue e ironiche, che si possono trovare soprattutto su YouTube. È qui che una ricerca con la parola chiave gnomecore restituisce decine di video assurdi e surreali, che remixano contenuti a tema fantasy con il sottofondo di colonne sonore new wave e synthwave, oltre a tantissime playlist di “musica per gnomi”. Una svolta inaspettata, alla fine del 2022, ha persino trasformato la passione per gli gnomi in un trend di moda maschile, rilanciando cappellini colorati, barbe e stivaloni.
“Se c’è una cosa che ho imparato, in tutti questi anni, è che esiste una nicchia per qualsiasi cosa. Cercando a sufficienza, è possibile trovare appassionati di ogni materia immaginabile, dalla più popolare alla più improbabile”.
Spostandoci verso il lato oscuro, online troviamo infine un vasto corpus di storie dell’orrore, tra creepypasta e leggende urbane. In queste storie gli gnomi sono creature malvage e pericolose, che attraggono gli esseri umani con la promessa di fortuna e ricchezza per poi intrappolarli con potenti maledizioni, conducendoli alla pazzia o alla morte. Qualche volta, incredibilmente, questi spiriti maligni si nascondono nell’oggetto più innocuo che si possa immaginare: i nani da giardino (in inglese “garden gnomes”). Ne parla ad esempio uno degli episodi più strani del podcast Otherworld, ideato e condotto dall’americano Jack Wagner, una serie di grande successo che racconta storie di gente comune legate alla sfera soprannaturale. In una puntata intitolata Obscure Gods, Sean Johns e sua moglie Gina, due sensitivi di Chicago, raccontano di famiglie rovinate da uno strano culto degli gnomi, che inizia sempre dall’acquisizione di una buffa decorazione da giardino e, con il tempo, si rivela essere qualcosa di molto più oscuro e pericoloso. Ma la storia dei nani da giardino, che sembra discendano dai cosiddetti “eremiti ornamentali” dell’Inghilterra georgiana, ossia persone che venivano pagate per vivere in un eremo costruito nella villa di un ricco signore a scopo meramente decorativo, meriterebbe un articolo a parte.
Incuriosita dai ripetuti incontri con gli gnomi nei contenuti online, ho iniziato ad archiviarli e studiarli. Durante questo processo, mi sono ricordata di Gnomi, un volume illustrato comprato all’epoca del liceo, e della citazione che lo apre: “Sono molto meravigliato di sapere che c’è gente che non ha mai visto uno gnomo, non posso fare a meno di provare compassione per costoro. Qualcosa non va. La loro vista non funziona bene”. A pronunciare queste parole fu lo psichiatra svedese Axel Munthe nell’autobiografia romanzata La Storia di San Michele (1929), una storia nella quale, tra le altre cose, raccontava di aver più volte intrattenuto conversazioni con piccoli e misteriosi uomini barbuti.
La frase è molto famosa e compare in numerosi articoli che parlano di gnomi, folletti e altre creature del folklore europeo. A diffonderla è stato però proprio il libro Gnomi, scritto da Wil Huygen, illustrato da Rien Poortvliet e pubblicato per la prima volta in danese nel 1976. Tradotto in inglese l’anno successivo, fu un best seller negli Stati Uniti, dove vendette quasi un milione di copie nel solo primo anno di distribuzione. Il grande successo di questa pubblicazione, che ha poi visto la luce in tantissime altre lingue (in Italia lo ha pubblicato Rizzoli nel 1979), è da attribuire prima di tutto alle illustrazioni di Poortvliet, caratterizzate da uno stile naturalistico venato di spirito fantastico, estremamente efficace nell’evocare mondi fiabeschi.
I testi di Huygen, che di mestiere faceva il medico, sono al contrario dettagliati e descrittivi; lo stile adottato è quello di un manuale di fisiologia, punteggiato com’è di dati e descrizioni anatomiche. Per godere del libro, come suggeriva il giornalista E.D. Ward-Harris in una recensione uscita sul quotidiano «Victoria Times» nel 1978, “bisogna essere disposti ad abboccare all’amo e sospendere l’incredulità”, facendo finta – molto seriamente – di vivere in un mondo in cui queste pagine sarebbero considerate un testo scientifico.
Nonostante la somiglianza con gli esseri umani, spiegano questi autori, gli gnomi costituiscono una specie a parte con caratteristiche ben precise, da non confondere con folletti, goblin, elfi o leprecauni. Sono alti circa 15 centimetri – senza contare il cappello a punta –, sono sia maschi che femmine (anche se le femmine raramente si fanno vedere), possiedono una gran forza, hanno sensi molto acuti e possono vivere oltre quattrocento anni. Gli gnomi, sempre secondo Huygen e Poortvliet, in passato erano membri accettati e riconosciuti della società e incontrarli non era un evento raro. La loro scomparsa è considerata una conseguenza del progressivo e inarrestabile processo di inquinamento dell’ambiente. Gli gnomi, infatti, vivono in profonda simbiosi con la natura, possiedono sensibilità extrasensoriali, sono grandi amici degli animali.
La letteratura sul tema è molto vasta, e piccoli esseri con il cappello a punta sono presenti nel folklore di numerosi paesi con caratteristiche simili, pur in presenza di variazioni locali. Quasi tutte le fonti attribuiscono l’invenzione del nome a Paracelso, che lo usò per la prima volta nel suo Liber de nymphis, sylphis, pygmaeis et salamandris, scritto nel 1493, facendo derivare la parola dalla radice greca gnosis (conoscenza). Secondo il noto medico e alchimista svizzero, gli gnomi erano spiriti ctoni, ossia divinità legate ai culti di entità sotterranee o vulcaniche. Da allora, le reinterpretazioni del mito sono state tantissime, e gli gnomi sono comparsi in libri, fumetti, film, cartoni animati, giochi di ruolo e videogiochi, amati soprattutto dagli appassionati di narrativa fantasy.
Negli ultimi anni, si diceva, i piccoli uomini barbuti sono riemersi sempre più di frequente nel folklore digitale. Vengono descritti come creature sagge, perlopiù benevole, anche se talvolta dispettose e vendicative. Nella maggior parte dei casi lo gnomo, anche su internet, simboleggia un sapere antico; è uno spirito che vive in armonia con l’ambiente e con tutte le creature.
Per le persone terminally online, ossia per chi trascorre la maggior parte del tempo davanti a uno schermo, il mondo naturale sembra oggi possedere una grande attrattiva: rappresenta cioè una fonte di rigenerazione e una cura per i malanni provocati dal vivere in una società ipercapitalista e altamente tecnologizzata. Il contatto fisico con la terra diventa un antidoto al distacco sistematico dall’ambiente, che spesso determina anche un allontanamento dalla dimensione corporea. “Go outside and touch grass” (‘esci da casa e tocca l’erba’) recita un meme molto popolare.
Il sottotesto di molti contenuti a tema gnomesco è, di conseguenza, anche di tipo ecologista: lo gnomo riconosce la sacralità della natura, una sacralità che la società moderna ha smarrito, trasformando il pianeta terra e tutte le creature che lo abitano in un magazzino di materiali destinati allo sfruttamento. Questa sfumatura, che emerge molto di frequente nell’internet folklore, era già presente, non a caso, anche nell’opera di Munthe, che del movimento ambientalista fu un precursore. Munthe era vegetariano e si batteva per la protezione degli animali, in particolare degli uccelli. Alla sua morte, avvenuta nel 1949, lasciò una discreta somma di denaro destinata alla lotta contro l’impiego degli animali nei circhi equestri e per la chiusura degli zoo, due attività che disprezzava e reputava indegne della civiltà.
Attualmente, lo gnomo più famoso di internet è quello interpretato da Crawly, un TikToker polacco che lo scorso giugno ha iniziato a postare video in cui si aggira all’interno di ristoranti e centri commerciali accucciato e travestito, suscitando le reazioni divertite, e talvolta infastidite, di negozianti e clienti. La sua interpretazione della figura dello gnomo, tuttavia, è molto libera: oltre a barba e baffi finti, il suo personaggio indossa un mantello verde e un cappello conico bianco. Mentre corre e saltella, agita un buffo retino rosa: dovrebbe essere una specie di bacchetta magica, ma più che per lanciare incantesimi, Crawly sembra volerlo usare per picchiare qualcuno.
Il primo video della serie ha avuto un successo incredibile, totalizzando oltre 50 milioni di visualizzazioni e 9 milioni di like in due giorni. Alcuni lo chiamano The Wizard Gnome, altri The Tiny Green Mall Wizard. Insomma, non è chiaro se si tratti di uno gnomo, un mago, un vecchietto arrabbiato o tutte e tre le cose. L’effetto comico viene prodotto in gran parte dall’anacronismo: il buffo invasore viene chiaramente dal passato e la sua presenza all’interno di un centro commerciale è assurda, insensata. A rendere i video ancora più divertenti provvede la velocizzazione, che influisce sia sui movimenti che sulle voci, generando uno straniante effetto comico. Poi c’è la colonna sonora, che torna sempre uguale in tutti i video, rendendoli immediatamente riconoscibili. È Misanthrope, un brano pubblicato nel 1999 da un’oscura band tedesca chiamata Blod Besvimelse. Si tratta di un genere di musica contemporanea che recupera melodie dal sapore medievale e le mescola con atmosfere dark ed electro; il genere, non a caso, si chiama Dungeon Synth e ha recentemente guadagnato un’inaspettata popolarità proprio grazie a questi contenuti.
A pochi giorni dalla pubblicazione dei primi video su TikTok e Instagram, la narrazione (la lore, come si dice in questi casi) intorno allo Gnomo Mago si espande, trasformandosi in una guerra estesa tra Gnomi e Cavalieri (Gnomes vs. Knights) che coinvolge migliaia di utenti nel mondo, perlopiù cosplayer, impegnati a sostenere l’una o l’altra fazione. Un fenomeno che mescola memetica, narrativa fantasy, gioco di ruolo e performance art, dando vita a contenuti sempre più complessi e stratificati.
Il Mago Gnomo del polacco Crawly – che nel frattempo sta cercando, con scarso successo, di rinnovare la sua formula con altri personaggi – si ispira chiaramente a un altro spirito della foresta emerso dalle profondità dell’internet folklore. La sua somiglianza con un fenomeno virale precedente, il Mestre Ensinador, molto popolare tra il 2020 e il 2022, non è passata inosservata, tanto che moltissimi commentatori su TikTok pensavano che i due fenomeni fossero in qualche modo collegati. Non è facile spiegare a parole lo strano carisma di questa creatura: è una marionetta dal viso paffuto, indossa una veste bianca da cui spuntano piccole mani, sulla testa porta un cappello conico verde. Nei video, pubblicati dall’artista brasiliano Jhonatan Oliveira, Mestre Ensinador (anche noto come Tibúrcio) balla, gira su sé stesso, si nasconde in mezzo agli alberi o spunta da un tronco cavo. In altri post ancora celebra misteriosi rituali con simboli infuocati, si proietta nello spazio, sorvola mari, vulcani e scogliere. Inserito all’interno del flusso ordinario della piattaforma, in mezzo a ricette, balletti e tutorial di make-up, la “whimsical little creature” (‘piccola creatura stravagante’), come viene presto ribattezzata, rappresenta un’altra apparizione inconsueta.
“Il sottotesto di molti contenuti a tema gnomesco è, di conseguenza, anche di tipo ecologista: lo gnomo riconosce la sacralità della natura, una sacralità che la società moderna ha smarrito, trasformando il pianeta terra e tutte le creature che lo abitano in un magazzino di materiali destinati allo sfruttamento”.
La viralità del personaggio esplode soltanto alla fine del 2022, quando una ragazza decide di riprendersi mentre cerca di convincere il fratello minore del fatto che la creatura che volteggia nei boschi sia lui stesso da piccolo, raccogliendo la reazione divertita del bambino. Nasce così il meme Me As A Baby, che nel giro di poche settimane produce migliaia di interazioni. Nei commenti le persone si divertono a stare al gioco: “sono io quello”, “ricordo quel momento”, “vorrei tanto tornare indietro nel tempo”, “dove avete trovato questo video di me da bambino?”. L’immagine dello gnomo danzante diventa una specie di ricordo artificiale condiviso, simboleggia le memorie perdute dell’infanzia, quel momento magico in cui le persone esprimono un sé primigenio autentico e in comunione con la natura, ancora non inquinato dalle convenzioni sociali.
Sempre Munthe, quando ne La Storia di San Michele racconta del suo secondo incontro con uno gnomo, avvenuto in età adulta, evidenzia il fatto che le piccole creature si mostrano più spesso ai bambini, perché ancora dotati di uno sguardo incontaminato e in un certo senso pienamente funzionante. “Mi pareva di sentire l’odore di un bambino in questa camera, altrimenti non sarei mai entrato”, esclama lo gnomo quando lo vede, arrampicandosi su una sedia per guardarlo meglio.
Sorprendentemente, sia il Mestre Ensinador che il Tiny Green Mall Wizard diventano dei meme “relatable”, ossia contenuti che favoriscono l’identificazione e l’autoracconto. Le persone sembrano rispecchiarsi in queste creature anomale, che provengono da altri mondi e da altri tempi: “sono letteralmente io”, come scrivono molti sotto ai video. Ma in che modo un giovane occidentale del 2024 si può identificare in una creatura semidivina che sembra uscita da un manoscritto medievale?
L’aspetto con cui si entra in relazione, in realtà, riguarda proprio questa contraddizione. Riguarda l’essere fuori posto. Gli gnomi, i folletti e i maghi non hanno diritto di cittadinanza nel mondo contemporaneo: vivono nascosti, hanno valori differenti, seguono tempi interiori e si sintonizzano su correnti energetiche ignote alla maggioranza delle persone. Sono degli outsider, insomma. Non solo: incarnano in maniera originale l’incrocio tra potenza e vulnerabilità. Sono pericolosi, ma allo stesso tempo sono percepiti anche come “cute”, cioè carini, teneri, coccolosi. Sono come i Mowgai del film Gremlins: esseri dolci e saggi, ma sempre pronti a trasformarsi nel loro opposto (anche il film di Joe Dante, a suo modo, era una favola ecologista). Sono creature liminali, metafore del mondo di mezzo, segni e simboli di un’epoca che sembra bloccata in un eterno stato di transizione, condannata a ripetere, recuperare, rimettere in scena il passato. Allo stesso tempo, esprimono un desiderio di ritorno: all’infanzia, alla natura, a uno stato di grazia anelato e mai realmente posseduto. Gli gnomi custodiscono una verità in attesa di essere svelata (non a caso, si parla a volte anche di anche di gnomepill, che è un po’ come la pillola di Matrix). La verità degli gnomi, tuttavia, come scriveva Munthe, è accessibile solo a chi è in grado di vederla.
Valentina Tanni
Valentina Tanni è storica dell’arte, curatrice e docente. Il suo ultimo libro è Exit reality. Vaporwave, backrooms, weirdcore e altri paesaggi oltre la soglia (Nero, 2023).
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