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Luigi Mastrodonato

Natale a Rebibbia con Gianni Alemanno

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Gianni Alemanno è detenuto a Rebibbia. Un tempo noto per le sue posizioni accesamente securitarie, è da mesi impegnato in una battaglia per carceri più giuste. I suoi sforzi stanno sortendo, apparentemente, i primi effetti, quantomeno su alcuni suoi vecchi amici, militanti e politici di estrema destra.

C’è un motivo molto semplice per cui dovremmo avere a cuore la condizione delle carceri. Fatelo presente a vostro zio che come ogni anno, durante il pranzo di Natale, ripeterà a pappagallo la storia degli stranieri che delinquono, della chiave da buttare via e che sono affari loro se stanno male in carcere, potevano pensarci prima di commettere un reato. A volte ha senso lasciare da parte Michel Foucault, gli editoriali di Luigi Manconi, gli articoli come questo, la giustizia europea e i rapporti di Antigone. Di fronte allo zio non c’è ragionamento che tenga e serve toccare altre corde, magari meno astratte e più personali. Provate a dirgli: Un giorno potrebbe succedere anche a te, zio. Risponderà, probabilmente, che lui non è un criminale, che certo lui non ruba, non spaccia, non stupra, non ammazza nessuno. Ribattete che nessuno è un criminale fino a che non lo diventa e che, in fin dei conti, esserlo non è una condizione necessaria per finire in cella. Basta trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato per diventare una di quelle decine di migliaia di persone finite in carcere da innocenti. L’ingiusta detenzione ogni anno costa allo Stato italiano milioni di euro in risarcimenti.

Se anche queste argomentazioni non dovessero funzionare, provate così. Raccontategli la storia di Gianni Alemanno. Fino a poco tempo fa estremista di destra animato da una profonda indole securitaria  e giustizialista. Oggi detenuto a Rebibbia e tra le voci più lucide e importanti nella lotta alle storture del sistema penitenziario italiano.

L’avatar-Alemanno

A inizio dicembre un avatar di Gianni Alemanno è comparso sul maxischermo di una saletta vicino Piazza Colonne, a Roma. Era in corso la presentazione del libro Emergenza negata, scritto proprio dall’ex sindaco di Roma a quattro mani con Fabio Falbo. I due sono detenuti nel carcere romano di Rebibbia, dove dall’inizio del 2025 tengono un diario, pubblicato sui social, che puntata dopo puntata racconta l’oscuro mondo della detenzione e le criticità che lo contraddistinguono.

Alemanno e Falbo avevano chiesto un permesso per poter presentare il libro dal vivo, ma il magistrato di sorveglianza l’ha negato. Per questo il discorso al pubblico lo ha tenuto l’avatar-Alemanno. Braccia conserte, sguardo fisso in telecamera e un aspetto decisamente più giovanile, l’avatar ha parlato senza esitazione per circa tre minuti tradendo solo in poche occasioni la sua natura artificiale con piccoli movimenti innaturali della mano. Nel discorso, crudo e diretto, l’avatar-Alemanno ha sottolineato che nelle carceri italiane ci “sono condizioni che non si trovano in nessun’altra parte della società italiana”. Poi ha evidenziato il più grande problema corrente del sistema carcerario italiano: il sovraffollamento. Secondo gli ultimi dati di Antigone, i detenuti in Italia sono oltre 63mila a fronte di poco più di 45mila posti letto disponibili. Ci sono istituti dove il tasso di sovraffollamento è superiore al 240 per cento, mentre a Rebibbia il dato si ferma “solo” al 150 per cento circa. Il sovraffollamento rende tutto più difficile, stravolge i già ristretti margini di vita civile delle persone detenute, ha denunciato l’avatar-Alemanno. Una catastrofe silenziosa, secondo Alemanno, o per usare un’altra immagine da lui evocata: una pentola a pressione pronta a scoppiare.

Per alcuni forse la cosa più inusuale del discorso potrebbe non essere stata la comparsa dell’avatar, quanto invece la scoperta di un Alemanno profondamente diverso, parecchio impegnato in questa battaglia per carceri più giuste, e il cui impatto sul dibattito politico è già significativo: 

“Abbiamo fatto di tutto per richiamare l’attenzione della politica e del governo sulla condizione delle carceri”, ha sottolineato l’avatar. “Soprattutto per me, che vengo dalla stessa storia politica di chi governa oggi in Italia, è un punto d’onore rompere i luoghi comuni e gli slogan su cui si fonda questa indifferenza”.

Dal Campidoglio a Rebibbia

Gianni Alemanno è tra quelli  che più hanno contribuito a istituzionalizzare, dunque a normalizzare, l’estremismo di destra. Tra gli anni Ottanta e Novanta è stato Segretario nazionale del Fronte della gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano. Poi è diventato uno dei punti di riferimento di Alleanza Nazionale, ricoprendo incarichi di rilievo all’interno della direzione del partito e divenendo nel 2001 ministro del governo Berlusconi (a proposito di figure che hanno contribuito a istituzionalizzare la destra più eversiva). Nell’aprile 2008, Alemanno è stato eletto sindaco di Roma e il suo mandato è stato caratterizzato da misure (e toni) pesantemente securitarie. Il suo motto: “tolleranza zero”; il suo modello: il sindaco di New York in stile Rudolph Giuliani; Il suo obiettivo: incriminare quante più persone possibili provenienti dalle fasce subalterne della popolazione per ripulire Roma. Oggi Gianni Alemanno è recluso a Rebibbia e subisce sulla sua pelle le conseguenze delle politiche di cui si è fatto acceso promotore: più repressione, più incarcerazioni, nessuno sconto ai detenuti. E visto che il motivo più semplice per cui dovremmo avere a cuore la condizione delle carceri è che un giorno potrebbe capitare anche a noi, ha cambiato le sue convinzioni. E si sta spendendo generosamente per farle cambiare anche alle persone che militano nella sua orbita politica. 

Nel 2022, Alemanno è stato condannato a ventidue mesi  per finanziamento illecito e traffico di influenze illecite nell’inchiesta “Mafia Capitale”. Aveva ottenuto gli arresti domiciliari ma non ha rispettato le prescrizioni del giudice, ragione per cui il 31 dicembre 2024 è stato fermato e condotto a Rebibbia. Il destino ha voluto che l’ex sindaco di Roma abbia scontato il suo primo vero giorno di detenzione il primo gennaio del 2025 e oggi, che il 2025 sta per finire, le sue parole possono essere considerate forse il più importante e necessario rapporto annuale sullo stato del sistema penitenziario italiano. Nelle lettere dal carcere, pubblicate sui suoi profili social, Alemanno ha raccontato cosa significa vivere in strutture vecchie e sovraffollate, con le persone ammassate nelle celle, gli spazi di socialità cancellati per ottenere nuovi posti e le attività trattamentali ridotte o sospese per eccesso di domanda in contraddizione di ogni accenno rieducativo della pena. Alemanno ha raccontato il gelo dell’inverno, con i termosifoni ancora spenti per i soliti guasti a cui non sembra esserci rimedio, o la calura insostenibile dell’estate, con la mancanza di ventilatori e di sistemi di aerazione adeguati che portano le temperature ai piani alti ben oltre i 40 gradi. Alemanno ha raccontato l’impatto delle criticità strutturali e ambientali delle carceri sulla condizione di salute dei reclusi che in molti casi è già di per sé debilitata, visto che almeno due terzi ha una qualche forma di patologia. Che in altri casi sviluppa una malattia proprio nel corso dell’esperienza carceraria, visto che di carcere ci si ammala e si muore. Nel 2025 si contano finora 231 morti in carcere, di cui 76 per suicidio.

“C’è un motivo molto semplice per cui dovremmo avere a cuore la condizione delle carceri. Fatelo presente a vostro zio che come ogni anno, durante il pranzo di Natale, ripeterà a pappagallo la storia degli stranieri che delinquono, della chiave da buttare via e che sono affari loro se stanno male in carcere, potevano pensarci prima di commettere un reato”.

Alemanno ha raccontato la malattia delle persone intorno a lui, l’attesa lunga mesi per potere effettuare una visita medica urgente, l’impossibilità a recarsi in ospedale a causa dell’assenza di un numero adeguato di agenti penitenziari a fare da scorta. Alemanno ha raccontato le piccole torture quotidiane a cui vengono sottoposti i detenuti. La burocrazia, la trafila di “domandine” per ottenere qualsiasi cosa – perfino un paio di occhiali – la fatica mentale e fisica a esistere in uno spazio dove ogni elemento è pensato per allontanare la persona dal quieto vivere. Alemanno ha raccontato il diritto all’affettività negato, le violenze tra detenuti, la difficile condizione degli agenti penitenziari. Alemanno ha raccontato questo e molto altro. Lo ha fatto con la credibilità di chi da un anno si trova a vivere in prima persona il sistema carcerario italiano. E con la potenza di chi per decenni è stato portavoce di pregiudizi che oggi si stanno sciogliendo come neve al sole.

Il Natale di Alemanno

Gianni Alemanno nelle lettere dal carcere non ha fatto sconti alla sua parte politica, ai suoi  vecchi camerati che continuano a pensarla come la pensava lui da uomo libero. E questo non ha fatto altro che aggiungere forza alla sua lotta: l’ha resa più pura e sincera, l’ha vestita di panni meno ideologici. “Signor Presidente del Consiglio, cara Giorgia Meloni, non pensa forse che sia necessario uscire dai luoghi comuni e dagli slogan propagandistici, per capire quale disastro sta avvenendo all’interno delle carceri italiane?”. Oppure: “Qui siamo di fronte ad una catastrofe umanitaria che si sta aggravando giorno dopo giorno, mentre i decisori politici che dovrebbero affrontarla sono completamente nel pallone, fanno finta di nulla o forse non sono veramente in grado di comprendere la situazione”. O ancora: “Tanti cittadini pensano che per difendere la loro sicurezza bisogna garantire ‘la certezza della pena’ e nessuno degli uomini e delle donne al potere si prende la briga di spiegargli che per difendere la società bisogna garantire non la pena in sé, ma l’utilità della pena”.

L’ex sindaco di Roma non ha lesinato critiche nei confronti del ministro della Giustizia Carlo Nordio, ha contestato le posizioni del sottosegretario con delega alle carceri Andrea Delmastro, ha biasimato  l’immobilismo della premier Giorgia Meloni, ha affidato quasi ogni giorno al suo taccuino una richiesta di aiuto invocando l’urgenza di un cambiamento. “Quando sono arrivato a Rebibbia non mi aspettavo di trovare una situazione così degradata e assurda”, ha sottolineato l’avatar-Alemanno durante la presentazione del libro. Da quasi un anno si sta impegnando a far arrivare questo messaggio ai suoi amici politici, sodali di mille battaglie securitarie e repressive. E in parte ci sta riuscendo.

Lo scorso luglio il presidente della Camera Lorenzo Fontana, quello che ammiccava a Marine Le Pen e che in passato ha dichiarato di simpatizzare per il movimento neonazista greco Alba Dorata, si è fatto un giro a Rebibbia. Ha incontrato Gianni Alemanno che gli ha mostrato in prima persona la situazione in cui vive la popolazione detenuta e le mille difficoltà quotidiane che le si pongono davanti. Una volta uscito, Fontana ha detto che serve rimboccarsi le maniche per combattere il sovraffollamento e garantire migliori condizioni di prigionia. Anche il presidente del Senato Ignazio La Russa quello che in passato ha contestato duramente misure alternative alla detenzione come la messa alla prova, si è recato a Rebibbia. E grazie ai colloqui con il suo amico Alemanno ha mostrato un radicale cambio di approccio sul tema delle carceri. A inizio dicembre il presidente del Senato ha invocato una misura svuota-carceri da approvare entro Natale per consentire alle persone detenute con un residuo di pena breve di passare le festività a casa. I maliziosi – probabilmente a ragione – potrebbero vedere in questa proposta una misura ad personam per dare sollievo a un amico. Ciò non cancella però la potenza della proposta, anche se con il Natale ormai alle porte e nonostante l’appello rinnovato di Papa Leone XIV nel Giubileo dei detenuti del 14 dicembre, finora non è arrivata nessuna misura utile in tal senso. 

Il Natale in carcere è un incubo. Lo è da un punto di vista affettivo, dal momento che più che in ogni altro momento dell’anno si percepisce una distanza insormontabile con il mondo di fuori. Ma lo è anche dal punto di vista trattamentale, visto che con le festività la maggior parte delle attività che riempiono le giornate e danno un senso alla detenzione – lezioni scolastiche, corsi di teatro e quant’altro – vengono sospese. Natale è il periodo dell’isolamento e dell’apatia. Nel 2022 un gruppo di ragazzini del carcere minorile Beccaria di Milano ha risposto a questa condizione con “l’evasione di Natale”. Sono scappati il 25 dicembre ma nel giro di pochi giorni sono stati tutti ricatturati. Se nel loro caso il malessere è stato proiettato verso il mondo esterno, in molti altri casi la frustrazione viene esercitata sul proprio corpo. Come denuncia Antigone, Natale è il periodo in cui si concentrano più eventi critici in cella, come atti autolesionistici e suicidi.

Questo Natale nel carcere di Rebibbia ci sarà anche Gianni Alemanno. In una sorta di legge del contrappasso, gli toccherà vivere il peggior momento dell’anno nel peggior luogo esistente perché la sua sfera politica non ha dato seguito a una misura svuotacarceri a cui lui stesso, un tempo, si sarebbe opposto. Alemanno è stato abbandonato dalla destra perché ora anche lui subisce lo stigma di detenuto. E come tale è diventato un nemico da combattere più che un amico da compatire e aiutare. Eppure la sua battaglia è servita a qualcosa. Le sporadiche visite dei politici a Rebibbia, le dichiarazioni di La Russa, la potenza delle sue lettere che sono arrivate fino al parlamento, sono componenti di una lotta che a suo modo lascerà un’eredità importante nel dibattito italiano sulle carceri. Quando al pranzo di Natale il vostro zio di estrema destra dirà per l’ennesima volta che per le persone in cella bisogna buttare via la chiave, raccontategli la storia di Gianni Alemanno.

Luigi Mastrodonato

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