Dall’anarchico Armando Borghi c’è ancora da imparare - Lucy
Compagni di strada

Goffredo Fofi

Dall’anarchico Armando Borghi c’è ancora da imparare

28 Marzo 2024

Il rapporto di Fofi con Armando Borghi, anarchico antifascista, è cominciato con uno schiaffo e si è fatto, nel corso del tempo, un dialogo intellettuale che nemmeno la morte ha interrotto. Il libro di memorie di Borghi aiuta a comprendere meglio l’Italia, il movimento operaio, la situazione politica della prima metà del secolo scorso. Soprattutto ci ricorda di non considerare lo stato presente delle cose come immodificabile.

Molti anni fa, credo nel 1960, in molte città si organizzarono cicli di lezioni pubbliche su antifascismo e Resistenza, non ricordo se prima o dopo i fatti di Genova. Una o più relazioni su aspetti e momenti decisivi di quella storia, erano seguite dalle testimonianze di alcuni protagonisti – politici, sindacalisti, scrittori eccetera.

All’ultima di queste lezioni, al Piccolo Eliseo di via Nazionale a Roma (e fuori c’era sempre molta polizia, e c’erano spesso giovani disturbatori fascisti) ero seduto vicino a un uomo di una certa età, che non riusciva a star fermo e che si alzò in piedi invitando i convenuti a cantare insieme l’Internazionale. L’invito fu raccolto da tutti e tutti la cantarono, tutti la sapevano (e questo mi stupì allo stesso modo che sul palco i relatori si chiamassero tra loro “compagni” nonostante le diverse appartenenze politiche – per esempio il comunista Alicata con il repubblicano La Malfa e non ricordo più con quale cattolico…).

Tutti, in piedi, la cantarono ma non io, che non la sapevo. E alla fine il signore cui stavo vicino si voltò irato verso di me e mi dette uno schiaffo, dicendomi: “perché non hai cantato?”. Risposi balbettando che non la sapevo, che nessuno me l’aveva insegnata… Il suo atteggiamento cambiò: “Vieni domani pomeriggio a quest’indirizzo!” mi disse, scrivendo qualcosa su un foglietto. All’uscita dal teatro chiesi ai coniugi Calogero, grazie ai quali avevo potuto essere ammesso a quelle lezioni, chi fosse quello strano signore e, divertiti dalla mia disavventura, mi dissero che si trattava di Armando Borghi, di un protagonista dell’antifascismo anarchico e di tante altre battaglie di prima e di dopo… 

Il giorno appresso mi recai all’indirizzo che Borghi mi aveva lasciato, che era su un lungotevere ed era sede di un giornale anarchico, credo “Volontà”, e che era anche una tipografia.  Borghi, ora quasi affettuoso, mi regalò vari opuscoli (tra questi uno di canzoni anarchiche, altri di Pietro Gori e Malatesta) invitandomi a leggerli e meditarli…    

Rileggo a distanza di anni le memorie di Armando Borghi, Mezzo secolo di anarchia (1898-1945), che ha un’affettuosa prefazione di Gaetano Salvemini. La prima edizione uscì a Napoli nel 1954, quella che ho oggi in mano (Edizioni Anarchismo, Trieste) è del 2021, ed è la più recente.

Pochi conoscono questo libro e non sono molti, a parte i vecchi anarchici, a ricordarsi di Borghi, animoso protagonista di tante lotte, soprattutto tra Emilia, Romagna e Marche (si vede nel libro la parte che riguarda la “settimana rossa” di Ancona). Si segue con un misto di distanza e passione, oggi, la storia di battaglie e controversie, di incontri e scontri che riguardano la storia del movimento operaio e più latamente del movimento politico in Italia, appunto di mezzo secolo. 

Minuzioso nell’evocare avvenimenti e scontri politici, tra militanti e leader socialisti e sindacali, Borghi aiuta a comprendere meglio i conflitti interni al movimento operaio della prima metà dello scorso secolo.

Particolarmente istruttivo mi è parso quanto racconta del suo viaggio nella Russia di Lenin (e ancora di Trotskij) e delle sue perplessità sulla strada che vi si andava prendendo, e quanto racconta della carriera mussoliniana, del politicismo e dell’opportunismo del futuro dittatore. Insomma, c’è di che impararne sulla storia politica della sinistra italiana, sulle sue diverse convinzioni e strategie, sui modi di preparare una rivoluzione auspicata da più parti del proletariato.

“Si segue con un misto di distanza e passione, oggi, la storia di battaglie e controversie, di incontri e scontri che riguardano la storia del movimento operaio”.

Erano tempi in cui vi era ancora una variegata situazione sociale, tra Nord, Centro e Sud, tra contadini e operai in lotta che venivano posti di fronte a diverse opzioni politiche, tra parlamentarismo e massimalismo, tra sindacalismo e nuove organizzazioni politiche al tempo di Giolitti e dopo; tra ideali e pratiche socialiste, anarchiche, comuniste e più avanti fasciste. (E sarebbe interessante confrontare queste memorie con il ciclo narrativo mussoliniano di Antonio Scurati.) 

In definitiva, si dovrebbe guardare a questa storia in modi, credo, meno ideologici e più, appunto, storici; anche se è difficile farlo, perlomeno per chi ha visto e vissuto gli esiti e gli echi di quelle scelte e di quelle contraddizioni. Che continuano a pesare sulla nostra storia, e in particolare sulla fine della sinistra così come l’abbiamo conosciuta fino a due decenni addietro, e che continueranno a pesare sugli embrionali tentativi e sogni di una risorgente sinistra, dopo il “suicidio” di quella comunista e, prima ancora, dopo i cedimenti di quella socialista nella confusione politica degli anni Sessanta. E constatando lo scarso peso del movimento anarchico da molti anni in qua, e lo scarso dibattito al suo interno.

Eppure in un’epoca nuova, che dà ragione alle paure di un controllo capitalistico planetario, che vede lotte tra stati e tra partiti ma troppo raramente tra visioni positive e attive del “che fare?”, e che produce qua e là un pensiero che possiamo dire nuovamente anarchico proprio dal confronto col presente, e con quel che il futuro minaccia. 

Dentro una quotidianità sempre più distratta dalle beghe del presente e dalla superficialità di confronti che pescano nelle stesse acque (vedi la povertà della produzione universitaria nei campi più necessari, per esempio quelli della sociologia e della pedagogia), si constata la generale accettazione dello stato presente delle cose, che continua ad avere le sue fondamenta nell’economia e della finanza sia capitalistiche che stataliste, con una generale delega politica dei più a chi controlla la produzione di beni e lasciando ben poco spazio a chi poi deve amministrarli. 

La sudditanza della politica alla finanza è forse il fenomeno più preoccupante del nostro tempo – nell’assenza di proposte altre, alternative. E anche i più coscienti e i più avvertiti tra gli analisti del nostro tempo tacciono sui modi in cui sarebbe fondamentale reagire, su una politica all’altezza della gravità dell’epoca, su movimenti più radicati e radicali – i meno poveri di idee e proposte anche se minoritari, e più che minoritari. Di analisi radicali si ha davvero bisogno e sono ben pochi quelli che le affrontano. Senza il conforto del confronto con movimenti grandi o piccoli, che tuttavia reagiscono alle paure del presente, e ai poteri che le producono. 

E forse sì, si ha davvero bisogno di un pensiero più libero (più “anarchico”) e di movimenti più decisi nel proporre nuove lotte con nuovi modi di lottare, in una dialettica tra i movimenti e le loro  avanguardie, filosofie e pratiche. E tra morali e movimenti. Pensiero e azione, dicevano i maestri di un tempo, devono andare insieme. Nonostante che i movimenti siano scarsi e di scarse teorie, di scarse visioni.

“E forse sì, si ha davvero bisogno di un pensiero più libero (più ‘anarchico’) e di movimenti più decisi nel proporre nuove lotte con nuovi modi di lottare”.

Rileggere l’autobiografia di Borghi è utile e stimolante – ma il maestro più grande dell’anarchismo moderno resta pur sempre Malatesta, i cui scritti andrebbero ripescati, e messi a confronto con quelli di altri vecchi maestri ma anche di nuovi teorici e studiosi dello “stato delle cose”. (Un confronto più personale – ma non sono in grado di farlo con l’indispensabile competenza – andrebbe fatto anche con gli scritti politici – anarco-religiosi – di Aldo Capitini.)       

Goffredo Fofi

Goffredo Fofi è saggista, critico cinematografico e letterario. Il suo ultimo libro è Cari agli dèi (Edizioni E/O, 2022).

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