30 Gennaio 2025
Fondatore, con Grazia Cherchi, dei «Quaderni piacentini», Piergiorgio Bellocchio è stato un grande intellettuale e critico. La sua profondità di sguardo e chiarezza di scrittura lo rendono ancora oggi un punto di riferimento.
L’avventura dei «Quaderni piacentini» parte nei primi anni Sessanta da un ambiente provinciale, appunto Piacenza, a metà strada tra Milano e Bologna ma attratta soprattutto da Milano. E anche un po’ da Torino, ché gli anni sono gli stessi in cui sotto la Mole nascevano i «Quaderni rossi» fondati da Raniero Panzieri. I “piacentini” sorsero ai margini del Psi ma rendendosene rapidamente autonomi, e attirati semmai dal magistero fortiniano e da quella panzieriano, appunto.
Di quelle due riviste (due gruppi, il primo dei quali decisamente marxista e politico – che visse più tardi una netta scissione, da cui nacque una seconda rivista-gruppo, «Classe operaia», decisamente più politica della prima, dall’impronta marxista-sociologica) si potrebbe ancora discutere, anche per il prestigio delle firme: nella prima scrissero personaggi più nuovi ai tempi, come Rieser, Mottura, Lanzardo, Beccalli, tutti purtroppo scomparsi, come molti dell’altra parte, Tronti, Asor Rosa, Negri…
E i “piacentini”? La loro diversità stava negli interessi decisamente culturali e non solo politici, e più “terzaforzisti” che marxisti. I “piacentini” – Piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi – mi cooptarono alla direzione, tramite Panzieri, sulla scia del piccolo scandalo provocato all’Einaudi dalla tra chi era favorevole e chi contrario alla mia inchiesta sull’immigrazione dal Sud a Torino, che terminò con il proditorio licenziamento dei redattori che più ne sostennero la pubblicazione: Panzieri (che morì poco tempo dopo) e Renato Solmi. (Il mio studio non era vera sociologia, sostenevano gli einaudiani ma, come in una loro riunione ribadì con più forza di tutti Massimo Mila, rifiutarono il libro dopo avermelo commissionato perché fortemente critico nei confronti della Fiat, il cui istituto di credito aveva salvato due volte l’Einaudi dalla crisi).
Come che fosse, sono debitore della bella avventura dei QP a quella storia, un’avventura che durò molti anni e che fece della rivista un luogo d’incontro tra intellettuali di ogni età, accomunati sia dall’insoddisfazione nei confronti degli effetti del “miracolo economico”, che andava corrompendo molte brillanti menti, sia dalla ricerca di strade inedite per una nuova sinistra. Fu un gruppo eterogeneo con punti di vista assai critici sia verso la cultura dominante, sia verso quella “nuova” del ‘68, in modi attivi e combattivi.
Bellocchio fu ironico e brillante polemista ed esigente intellettuale al servizio della rivista, sempre alla ricerca di firme e nomi giusti, insieme a Grazia Cherchi e molto più di me. Fu anche un cultore di letteratura classica, soprattutto sette e ottocentesca. Le sue prefazioni dickensiane per i Grandi Libri Garzanti sono un modello di misura e profondità, le raccolte di scritti proposte (con l’ausilio di un altro “piacentino”, Alfonso Berardinelli) dalle edizioni Quodlibet mettono il lettore a confronto con una competenza rara , assistita da una scrittura di straordinaria eleganza e chiarezza.
“Bellocchio fu ironico e brillante polemista ed esigente intellettuale al servizio della rivista, sempre alla ricerca di firme e nomi giusti”.
Un grande critico, un grande studioso. Non credo affatto di esagerare per ragioni affettive, e rimpiango anche che Bellocchio abbia trascurato nella sua pratica della letteratura l’aspetto più creativo, ché i racconti de I piacevoli servi (Mondadori, 1966) sugli intellettuali salottieri del tempo non hanno niente da invidiare a quelli di Arbasino, che era anche, ma non solo, uno di quelli rappresentati.
Con Berardinelli, dopo la chiusura dei «Quaderni piacentini», Bellocchio dette vita a un altra originale esperienza critica, la rivista «Diario», opera di loro due soli. Ma il suo capolavoro restano forse proprio i “Piacentini”, una rivista che può ancora aiutare a capire chi siamo e come siamo diventati…
Goffredo Fofi
Goffredo Fofi è saggista, critico cinematografico e letterario. Il suo ultimo libro è Cari agli dèi (Edizioni E/O, 2022).
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